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O’CLOCK

O’CLOCK 
UN FILM DI COLLETTIVO CARAPACE
(esito del laboratorio Una stanza tutta per sé)

Proiezione alla libreria Spazio b**k giovedì 4 ottobre alle 20.45
con Alessandro Penta e Olinda
Un film collettivo che racconta le case. 
Le case dei ragazzi che hanno partecipato al laboratorio di realizzazione video con il regista Alessandro Penta negli spazi del TeatroLaCucina di Olinda nella primavera 2018 e che hanno ripreso con cellulari e macchine fotografiche le strade di andata e ritorno, i palazzi, gli spazi, le persone, le cose, i cibi, gli animali, aprendo una finestra sulla loro dimensione intima.
Un film collettivo che racconta un’esperienza di condivisione per la produzione di immagini, interrogandosi su cosa vuol dire guardare e scegliere ciò che ha il potere di raccontare.
Un film che non si ferma alla dimensione “casalinga” ma porta a riconoscere e riconoscersi grazie alla cura delle immagini, delle parole e delle musiche, interamente prodotte, selezionate e montate dai ragazzi con la guida di un occhio esperto.

<< “Il cinema è un linguaggio importante per noi educatori che abbiamo a che fare con adolescenti i quali, per la maggior parte, praticano poco o quasi per niente il linguaggio scritto. […] Quello dell’immagine è un assalto permanente, l’uomo perde poco a poco l’uso della parola, dunque del pensiero a causa di immagini direttamente riprodotte.”
Questi sono i pensieri che Fernand Deligny educatore e cineasta francese scriveva nel 1955, più di mezzo secolo fa.
Oggi queste parole sono più vere che mai. Sempre di più viviamo di immagini, ma la nostra capacità di capire e fare proprio questo linguaggio non è aumentata.
Il video trasmette un’impressione di realtà a cui tendenzialmente crediamo, difficilmente pensiamo che per avere una immagine ci voglia un uomo, un fare, una tecnica precisa.
Assistiamo in modo passivo, arrivando a subire un linguaggio, quello dell’immagine, che può condizionarci in modo radicale.
Per scardinare questo meccanismo c’è solo un modo: appropriarsi del linguaggio in modo empirico, usando le proprie mani e la propria testa.
Eccoci così di fronte a 17 ragazzi nei sotterranei del TeatroLaCucina di Olinda a Milano
Si va dai più piccoli (12 anni) fino ai grandi (22 anni), sono italiani, peruviani, senegalesi, maliani, somali.
Ci sono studenti, lavoratori, disoccupati, qualcuno abita in periferia, altri in pieno centro. Insomma un gruppo a dir poco eterogeneo.
Una cosa però li accomuna: in tasca hanno tutti uno smartphone.
Eccolo il nostro prezioso strumento, proprio quello che  durante il giorno ci distrae in continuazione, che la professoressa ci ritira durante la lezione, che ci fa camminare a testa bassa con gli occhi incollati sullo schermo. Il nostro smartphone può diventare una piccola telecamera portatile, un occhio esterno con il quale catturare e mandare immagini in qualsiasi momento.
L’idea è quella di fare un film collettivo utilizzando le immagini girate con i nostri telefoni durante la settimana.
Ma di cosa parla questo film? La richiesta che abbiamo fatto riguarda un qualcosa che i ragazzi vedono con il loro occhi tutti i giorni, un luogo familiare a cui non si fa nemmeno più caso ma che racchiude la nostra intimità: la nostra stanza, la nostra casa.

Un film collettivo fatto con i cellulari sulle nostre stanze, ecco il nostro obiettivo, la nostra avventura.

Questo semplice dispositivo trasforma i telefoni da strumento passivo a strumento attivo. Ci si accorge presto che per filmare devo prima osservare attentamente e quindi aprire bene gli occhi per vedere ciò che mi circonda.
Inizialmente i ragazzi hanno massima libertà rispetto a come effettuare le riprese e a cosa riprendere.

Tutte le immagini girate durante la settimana vengono proiettate su grande schermo il venerdì.
Questo incontro diventa un momento nel quale condividere il proprio girato, guardare quello degli altri e magari prenderne spunto.
Guardando assieme, partendo dal nostro fare, diventa più facile parlare di tecnica, di inquadrature, di cinema.

A metà percorso iniziamo a pensare al montaggio. Ognuno ha filmato in modo diverso, a prima vista c’è un gran caos: chi ha fatto solo inquadrature fisse, chi immagini nervose sempre in movimento, chi ha ripreso gli oggetti della propria stanza e chi solo persone, chi ha usato la voce e chi no.

Scriviamo su tanti cartoncini tutte, proprio tutte, le cose che abbiamo filmato e le posiamo per terra per avere uno sguardo complessivo dei nostri materiali.
Lentamente emergono delle connessioni, delle possibili narrazioni. Immaginiamo un inizio e via fino alla fine.

Dopo tre mesi di lavoro siamo pronti per vedere il montato finale, alla fine della visione scelgliamo il titolo
e decidiamo che è giunto il momento, il nostro piccolo film è pronto per essere proiettato.
Questo piccolo film frutto del nostro fare, che racchiude pezzi di noi (noi individui e noi gruppo),
diventerà presto un ponte tra noi e l’esterno. >> Alessandro Penta

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