Da bambino non ero quello che si definirebbe un buon lettore. Ma questo non significa che non mi piacessero i libri. Anzi, li amavo, ma solo quelli con molte figure: albi illustrati e fumetti. I libri “lunghi”, senza o con poche immagini, mi sembravano terribilmente noiosi e difficili, poche volte mi sono avventurato a leggerli. Mi ricordo che mio fratello maggiore leggeva Jules Verne o Emilio Salgari: storie di viaggiatori, guerre, pirati, torture, schiavi… Roba bella.
Ma quei libri avevano solo poche illustrazioni sparpagliate in tutto il libro. Bisognava leggere almeno venti pagine di parole prima di arrivare a una illustrazione. Puro masochismo. Le rare volte in cui provai a leggerne qualcuno, finivo per saltare avanti finché non trovavo una pagina illustrata. Così facendo, tradivo l’unica vera ragione per cui provavo a leggere il libro: assaporare l’anticipazione dell’immagine a cui via via mi stavo avvicinando. Sinceramente, non ne valeva la pena. Meglio continuare a leggere i miei albi illustrati.
A cinque anni mi regalarono un libro illustrato che presto divenne il mio preferito in assoluto. S’intitolava Caro bruco capellone di Lucia Tumiati e Tullio Ghiandoni. Ogni pagina mostrava un ragazzino alla scrivania mentre scriveva o pensava e, sopra di lui, c’erano grandi nuvolette che mostravano i suoi pensieri o le lettere che stava scrivendo a diversi destinatari: il fratello maggiore, una pentola, un pollo morto, un uomo in prigione e, ovviamente, il bruco capellone che, verso la fine del libro, moriva. Adoravo quel libro e lo leggevo in continuazione.
Sergio Ruzzier