Questo è un testo ibrido, tra pièce teatrale, dialogo platonico, favola antica e parabola evangelica, in cui il protagonista è innanzitutto un grande maestro che con sapienza, sagacia e un’incrollabile fiducia nelle capacità dei suoi allievi si mostra e si sottrae, come dovrebbe fare ogni buon insegnante, per lasciare il campo a piste ed enigmi da affrontare in sua assenza. È un libro che si pone alla base dello studio del gioco, stimolando riflessioni sulla natura stessa dell’atto di giocare in una realtà culturale come quella italiana, in cui c’è l’esigenza di avvicinare alla filosofia e alle scienze umane il mondo di chi partecipa alla progettazione e alla realizzazione di giochi nonché, parimenti, di far accostare chi studia il gioco come fenomeno educativo alle strategie della progettazione, analisi e personalizzazione di esperienze ludiche. Il pubblico ideale è costituito dai game designer, perché spinge a riflettere sull’esperienza e non solamente sull’artefatto, ma anche da chi promuove linguaggi e attività ludiche come insegnanti, formatori e educatori, che vi ritrova un rigoroso apparato definitorio e la precisazione degli elementi costitutivi di ogni esperienza ludica. Da ultimo, è un testo denso, ricco e divertente, rivolto a quanti si percepiscono come giocatori e realizzato con la sostanza di cui sono fatti i giochi: enigmi, stupore, travestimenti, sfide e sogno.