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Corpi vivi

3 Gennaio 2021

«Guarda!» mettiamo in mano I see me and you (Les Cerises) a Debbie Bibo, agente di Rosie Haine, autrice di It isn’t rude to be nude (Tate Modern), di cui si è parlato qui.


«Zeitgeist, lo spirito del tempo» risponde con un sorriso.
A distanza di qualche mese due libri illustrati raccontano la nudità a bambini e ragazzi con spirito comune.
I see me and you dell’artista Adelaide Cioni è un puzzle di parti del corpo tutte diverse per forma, genere, età ed etnia. Il quadro ricomposto non è il ritratto di una singola persona ma è l’umanità nella sua pelle, senza volto. Non ci sono occhi, né bocche a comunicare. Nemmeno orecchie per ascoltare e nasi per annusare. È un invito esclusivo ad abbandonare i cinque sensi per il tatto, per conoscerci e riconoscerci a vicenda.

Per dieci anni traduttrice di letteratura americana per poi dedicarsi alla pittura, l’autrice, come racconta in una recente intervista ad Art Tribune, conosce bene “il tema della barriera della lingua fra popoli e persone” e con le immagini cerca “i minimi comuni denominatori di ciò che significa essere umani”.

«Quando traducevo mi ero creata una specie di regola aurea che era questa: scegli sempre le parole che restituiscano al lettore l’immagine più immediata, che coinvolgano direttamente i sensi. Se uno con le parole riesce a risvegliare la vista, il tatto, l’udito di chi legge, ovvero, se riesce a dare una dimensione corporea al testo, allora ha fatto il massimo. Ha fatto la magia, perché dare un corpo a una cosa incorporea come le parole è una magia (se ci pensi gli incantesimi sono proprio questo: il suono delle parole modifica il reale). Alla fine per me ruota sempre tutto attorno al corpo, al fatto di riconoscere che la nostra vita è un lungo confrontarsi con dei corpi: il nostro, quello dei nostri amati, degli oggetti, degli animali, delle piante, del mare. In pittura, nella mia pittura, cerco di “creare corpo” e di appellarmi a quello di chi guarda usando la stoffa, soprattutto le lane, possibilmente spesse, a volte pelose, perché mi baso su di me e so che appena le vedo mi viene l’impulso di toccarle. Ed è lo stesso che vedo succedere alle persone che si avvicinano ai miei quadri. Mi chiedono “posso?”.»

Solo il lettore ha il dono della vista e può riconoscere a colpo d’occhio le differenze tra uno e l’altro, ma se diventiamo protagonisti come i personaggi del libro non ci rimane che l’impulso di toccare: “posso?”. Un’esperienza da provare!

Un puzzle anatomico che richiama la struttura de Il corpo incantato del filosofo e architetto Roberto Peregalli (La Nave di Teseo). Uscito incredibilmente in contemporanea, descrive l’intimità del corpo femminile – dal Paradiso alla vergogna, da Courbet a Bertolucci – in tutte le sue parti dall’imperfezione all’idealizzazione, capitolo per capitolo, con una collezione di frammenti di opere d’arte fotografate dall’autore che inquadrano dettagli fisici.

Proprio nell’anno della pandemia mondiale che ha imposto di fermarci e non baciare e abbracciare nessuno, quasi nemmeno i nostri cari, la letteratura per adulti e per bambini è attraversata da sguardi sul corpo.
Una reazione alla distanza, ma anche un’evoluzione fisiologica del mercato editoriale per colmare la mancanza da più vent’anni di libri che raccontino senza peli sulla lingua come siamo fatti, cosa ci accomuna, cosa ci rende unici, come entriamo in relazione con meno parole e più fisicità.

Corpi, Schiene Pelose 2020

Grazie a un nuovo poster di Schiene Pelose scopriamo l’articolo Inno al corpo di Paul B. Preciado, uscito su Internazionale all’inizio dell’estate 2020, che esprime una prospettiva inedita per recuperare il senso del corpo vivo:

«Amiamo il vero corpo, fragile e vulnerabile, e non il corpo ideale e tirannico della norma. Amiamo il corpo poetico, perché il linguaggio è solo uno degli organi astratti del corpo vivo. E amiamo il corpo in tutte le sue dimensioni organiche e inorganiche.
Il linguaggio e la tecnologia sono organi collettivi e politicizzati. Come tutti gli altri organi del corpo, ci sono stati rubati. Non sappiamo quasi niente del corpo vivo. Occorre quindi amarlo là dove esso si esprime: nella sua tremula fragilità. (..)
La distanza sociale che ci viene imposta riguarda le pratiche politiche e poetiche. Non possiamo né manifestare né riunirci per amare, per dibattere o per creare. Ma possiamo incontrarci per produrre e procreare. La società è morta: restano solo la tele-fabbrica e la famiglia, due sfere nelle quali il corpo vivo è ancora negato e sfruttato.
Ma noi, contro ogni legge, amiamo il corpo sieropositivo, tumorale, obeso, tubercolotico, sterile, claudicante, lebbroso, ansioso, depressivo, nevrastenico, psicotico, il corpo consumato dalla cirrosi, il corpo sconvolto dalle crisi cardiache, il corpo in attesa del trapianto di un qualsiasi organo, vivo o immaginario. Amiamo il corpo malato di covid-19. Vogliamo, come fanno ogni giorno infermieri e operatori sanitari, accompagnarlo. Siamo anti-igienici, gioiosamente virali, e contagiosamente vivi.»

Tenendo alla mente queste parole fa ancora più effetto guardare Nomad. In cammino con Bruce Chatwin, il documentario di Werner Herzog uscito alla fine del 2019 e distribuito da Wanted (a Milano c’è il piccolissimo Wanted Clan Cinema, al momento chiuso ma on line si può acquistarne la visione!).

La suadente voce del regista scioglie il filo che ha legato la vita, i viaggi e i libri dell’amico scrittore, in un tempo di totale libertà di movimento alla scoperta di “personaggi folli, strani sognatori e grandi idee sulla natura dell’esistenza umana” fino alla morte prematura per Aids.
Di fronte alle parole di Rainer Maria Rilke, lette dalla curatrice di Chatwin in suo omaggio, il cerchio si chiude ad abbracciare i corpi vivi.

«Dobbiamo immaginare la nostra esistenza quanto più vasta possibile; tutto, anche l’inaudito, deve trovarvi spazio. È questo in fondo l’unico coraggio che si richieda a noi: essere coraggiosi verso quanto di più strano, prodigioso e inesplicabile ci possa accadere.»

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