Cosa lega la pittura senese a uno scrittore anglo-libico? Attraverso il racconto di un mese a Siena scopriamo la storia d’amore tra opere d’arte e persone con la più grande umanità.
«Forse il mio desiderio di vedere il prato adiacente a Sant’Andrea al Quirinale o l’affresco di Lorenzetti o il dipinto di Caravaggio o la vita stessa attraverso gli occhi di Diana non è che l’espressione della mia brama di ottenere, per usare le parole del mio amico di Tripoli, una “vittoria assoluta” su di lei, e svelare, una volta per tutte, il mistero della sua consapevolezza; o forse non si tratta affatto di questo, bensì del manifestarsi del mio istinto redento, della mia inequivocabile comprensione per lei, del mio desiderio di essere da lei ridefinito, sottraendomi temporaneamente ai limiti della mia esistenza. Solo l’amore e l’arte hanno tale prerogativa: solo dentro un libro o davanti a un dipinto si può avere realmente accesso alla prospettiva di un altro. Mi ero chiesto, e me lo chiedevo nella Sala dei Nove a Siena, se sarei mai riuscito a scrivere qualcosa se non avessi amato. (..) L’Allegoria di Lorenzetti, il Davide di Caravaggio, e a dire il vero tutta la storia dell’arte possono essere letti così: come un gesto di speranza e anche di desiderio, l’esplicitazione del segreto anelito dello spirito umano a congiungersi all’amato, di vedere il mondo coi suoi occhi, di colmare la tragica distanza tra ciò che si vorrebbe dire e il discorso, in modo da poter essere, finalmente visti davvero, per essere riconosciuti, (..) per continuare a cambiare mantenendoci riconoscibili per chi ci riconosce meglio».